Ci sono molti modi per indicare delle persone, si può dire squadra, folla, gruppo, classe, compagnia e tanti altri. Ognuno sottolinea un aspetto che lega quelli che stanno insieme e qualifica i loro rapporti. Per gruppi molto grandi si usa la parola comunità, che è molto bella.
Comunità è la nazione, la città, ma comunità è anche la parola che indica quelli che hanno fede in Gesù. Dire che i cristiani di un territorio, di una parrocchia, sono una comunità vuol dire che condividono qualcosa di importante, che li rende uniti e che arricchisce la loro vita. Ciò che anno in comune, che in questo caso è Gesù, è più di un interesse, è ciò che da senso alla loro vita e che chiede di essere manifestato e concretizzato con l’amore reciproco.
A volte nelle parrocchie, in particolari quelle grandi, è difficile vivere questa verità e si rischia di limitarsi a condividere gli stessi ambienti con uno spirito quasi da condominio. Si vive gli uni accanto agli altri appena sfiorandosi e spesso sperando che gli altri non invadano il nostro territorio. Su questo possiamo migliorare molto per esempio cominciando a dare valore alle iniziative degli altri gioendo della ricchezza che tutti apportano alla comunità.
A proposito di parole, San Paolo usa per la comunità una parola insolita, la descrive come un corpo: addirittura nella prima lettera ai Corinti (cap. 12) ne parla come del corpo di Cristo. «Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (v. 27). Usando questa immagine spiega che tutti sono utili e ognuno da un contributo al buon funzionamento del corpo, anche le parti apparentemente più insignificanti. Sentirsi corpo di Cristo era una grande sfida per gli abitanti di Corinto e lo è anche per noi oggi. Oggi come allora non possiamo rassegnarci a vivere negli stessi luoghi senza aspirare a sentirci parte dello stesso corpo.
Tale desiderio dell’unità nella diversità accompagni il nostro percorso e chiediamo al Signore, attraverso l’intercessione di Maria nostra madre, di benedire questo progetto.